Appunti di viaggio fra Elbasan e Durazzo, passando per Tirana. Una pagina dedicata al “Paese delle Aquile”, alle prese con la ricostruzione a quasi venti anni dal crac finanziario che rischiò di compromettere la democrazia.
TIRANA – Dal ristretto oblò dell’aereo proveniente da Pisa, non appena si diradano le fitte nuvole d’alta quota che coprono il cielo di fine dicembre, l’Oltreadriatico si presenta come un’ampia campagna ancora sospesa in atmosfere ataviche, con scorci che un po’ intimoriscono, e un po’ affascinano: campi coltivati a perdita d’occhio, basse case coloniche a un piano sparse qua e là, molte ancora incompiute o poco curate, caotici cortili ingombri di pollai, alberi da frutto, rottami di ferro. La città è appena oltre, se ne intravede la prima periferia. Il timore di essere giunti in un remoto altrove si manifesta con sottile perfidia.
Una volta a terra, l’impressione cambia radicalmente. Appena sceso dall’aereo, mi sferza la maestosità delle montagne che fanno corona alla vasta pianura coltivata, mentre un’aria gentile di fine dicembre sembra portare l’odore della neve.
L’aeroporto, di una nitida modernità, colpisce per efficienza e razionalità, e il traffico dei tanti albanesi che tornano in patria per le feste imminenti, scorre rapidamente oltre i controlli della polizia di frontiera. Una volta fuori, gli ampi e nuovissimi viali di circonvallazione portano rapidamente in città, dove scorre un traffico sostenuto e appena indisciplinato. Alberghi e grattacieli dall’architettura moderna sorgono a fianco dei quartieri più vecchi, costituiti da basse case a uno o due piani. Ovunque, cantieri di nuovi edifici, strade in rifacimento, e un pullulare di negozi grandi e piccoli, bar, caffè, ristoranti, alcuni anche italiani.
A uso e consumo di chi non fosse mai stato in Albania, o l’avesse visitata oltre dieci anni fa, è forse utile dare alcuni chiarimenti sulla situazione. Non è un Paese che possa piacere all’ottuso turista moderno, alla sempiterna ricerca di fast-food, gadget pacchiani e discoteche. Per viaggiare in Albania è indispensabile saper apprezzare quella bellezza zingaresca e pittoresca che nasce dalla sovrapposizione della cultura occidentale e cristiana con quella dell’Oriente musulmano, e dal drammatico contrasto fra mezzo secolo d’immobilismo e il rapido sviluppo degli ultimi dieci anni. E, in ultima analisi, è necessario possedere quella curiosità che porta a non temere il confronto con un Paese che è sì musulmano, ma straordinariamente aperto verso le altre culture. Qui non c’è la bellezza patinata dei depliant per turisti, si tratta semplicemente di scoprire la realtà di un Paese emergente, dove la modernità è assorbita per gradi, senza abbandonare tradizioni e abitudini millenarie che sono l’anima del popolo. Qui si nasconde una bellezza sincera, rude e arcaica, tragica per come è a volte maturata, e lasciarsene avvolgere significa compiere un’esperienza umana che lascia inequivocabilmente il segno, dato il calore con cui si è accolti, presi per mano e portati a conoscere ogni più piccolo aspetto della cultura locale.
Colpisce, in città, la pressoché totale assenza di balordi, borseggiatori, tossicodipendenti, ubriachi, figure tipiche del disagio cui purtroppo le città occidentali sono abituate. Con questo, ancora non si può dire che l’Albania sia un Paese ricco, eppure l’essenziale non manca per nessuno o quasi, e questo garantisce quella pace sociale che disincentiva disordini, delinquenza, vandalismi. Tutto questo, grazie a un Governo che, se da un lato non ha molte risorse a disposizione, dall’altro lascia mano libera all’iniziativa privata, perché se un qualsiasi cittadino coltiva agrumi o alleva tacchini nel proprio appezzamento, è poi libero di venderli a chiunque senza essere soffocato dalla burocrazia, e ha così modo di integrare lo stipendio. Niente di straordinario, semplice buon senso amministrativo.
Si avverte nel popolo quella pulizia morale che alberga in chi lavora onestamente con la consapevolezza di contribuire al miglioramento del Paese e del benessere di ognuno, senza che prevalga il mero interesse personale a danno degli altri. È infatti diffusa una forte solidarietà fra cittadini, che porta ad aiutare il familiare, il vicino, l’amico in momentanea difficoltà. Pur fra tante difficoltà quotidiane, qui si vive con una serenità che in Italia è soltanto un ricordo.
L’energica politica di Edi Rama, attuale Primo Ministro, ha assestato poderosi colpi alla vecchia mentalità clientelare e corrotta, ereditata dal regime comunista, che faceva della Pubblica Amministrazione una macchina unicamente oliata da un vergognoso sistema di prebende, tangenti, favoritismi. Attraverso l’applicazione di rigorose sanzioni, e una vasta campagna di sensibilizzazione lanciata in tutto il Paese, negli ultimi due anni sono stati compiuti notevoli passi avanti nello smantellamento della corruzione, al punto che la Polizia e il servizio sanitario stanno divenendo punti di riferimento per tutti i cittadini, senza più quella diffidenza che si provava verso dipendenti statali la cui logica di servizio era quella della tangente contro un aiuto.
La crisi finanziaria del 1997 è ormai un lontano ricordo, ma all’epoca il Paese attraversò un momento difficilissimo, con il presunto tentativo dell’allora Primo Ministro Sali Berisha di indebolire la democrazia proclamando lo stato d’emergenza in risposta a un presunto golpe ai suoi danni, e la conseguente caduta del Paese in una selvaggia anarchia che rischiò di sfociare in aperta guerra civile, causando comunque circa duemila vittime. A fatica venne raggiunto l’accordo politico per una maggioranza più stabile – guidata da Berisha -, che potesse reintrodurre nel Paese un certo controllo. La lotta alla criminalità organizzata è stata particolarmente efficace, al punto che la mafia albanese ha spostato all’estero la maggior parte delle sue attività, limitandosi, in patria, allo spaccio, su piccola scala, di stupefacenti (di cui il Paese resta un crocevia per i traffici dall’Oriente), e al controllo della prostituzione. Con brevi pause, Berisha ha guidato il governo fino allo scorso settembre, e la sua politica non si è certo distinta per l’onestà cristallina, ma ha comunque favorito gli investimenti stranieri nel Paese, contribuendo non poco al suo ammodernamento. Molto meno ha lavorato nel combattere le sperequazioni sociali e la corruzione, settori che sono invece caduti sotto la lente di Rama. Che comunque non dimentica l’economia, e la sua recente missione a Bari e Milano – per incentivare le imprese italiane a investire in Albania -, lo dimostra.
Difficile, a questo punto, non chiedersi dove sia tutta quella delinquenza per la quale il popolo albanese è a torto stigmatizzato nel nostro Paese. Passato il caos degli anni Novanta, il Governo è seriamente intenzionato a guidare il Paese sulla strada dello sviluppo economico e sociale, il cui imprescindibile punto di partenza è la certezza del diritto, anche penale. Da qui, una dura lotta alla corruzione, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti, allo sfruttamento della prostituzione. Rispetto al 2012, l’annus horribilis del nuovo corso, che vide un aumento del 40% dei crimini (sul 2010), già il 2013 ha fatto registrare una sensibile inversione di tendenza, avvertibile, anche a occhio nudo, nella discreta sicurezza in cui versano, a qualsiasi ora del giorno e della notte, le città albanesi.
Essendo quindi l’Albania, uno Stato fondato sul diritto e il suo fattivo rispetto, dove le leggi trovano concreta applicazione, accade che la delinquenza organizzata trovi pochi spazi per la propria attività. Spazi che altri Paesi lasciano invece aperti. Non è infrequente che qui si reinvesta denaro proveniente da attività illecite svolte all’estero, ma non è intellettualmente onesto attribuirne la responsabilità al Governo albanese. Ogni Governo è infatti direttamente responsabile soltanto di quanto accade entro i propri confini.
Oltreadriatico si ha a che fare con un popolo orgoglioso, in parte anche rude ma comunque bendisposto; chi è rimasto lavora alacremente per il proprio Paese, con la sicurezza e la determinazione di chi combatte per una giusta causa, senza per questo nuocere agli altri.
Le ferite di una storia recente particolarmente difficile sono purtroppo ancora evidenti: le orrende periferie dell’architettura comunista colpiscono lo sguardo e stringono il cuore, e sembrano sputate da un feticista della bruttezza. Difficilmente ristrutturabili, quei cubi di cemento armato intasati di minuscoli appartamenti offrono pochi comfort, spesso mancano di gas metano, e anche gli impianti idrici funzionano a singhiozzo, soprattutto nei condomini più affollati. E la mancanza di un preciso piano urbanistico è la causa dello sviluppo disordinato dei quartieri più nuovi, cui comunque si cerca di porre rimedio con abbattimenti mirati degli edifici abusivi o non conformi alle regole del sopraelevamento.
Le immagini della Missione Pellicano (magistralmente condotta dal nostro Esercito), sono ormai un ricordo lontano, anche se la gratitudine degli albanesi non è venuta meno. È ancora forte l’ammirazione per il nostro Paese, e soprattutto la riconoscenza di coloro che vi hanno soggiornato lavorando onestamente e potendo così guadagnare abbastanza per tornare in patria e costruirsi una nuova abitazione, o rendere più confortevole la vecchia, comprare l’auto, e disporre di una piccola rendita che, dato il non elevato costo della vita in Albania, permette loro di guardare al futuro con una relativa serenità, potendo sopportare anche periodi di disoccupazione. La crisi, infatti, morde anche qui, nonostante il notevole fermento che scuote un Paese in pieno sviluppo. Ma c’è anche voglia d’Europa, manifestata soprattutto dai giovani, alla ricerca della mobilità per studio o lavoro, e vista anche come un’ulteriore garanzia di controllo contro le sacche di corruzione che ancora, purtroppo, affliggono la politica nazionale. Per quest’ultimo motivo, il Governo ancora non si esprime per l’adesione all’UE, ma alle prossime elezioni l’atteggiamento dei vari partiti in materia sarà probabilmente l’ago della bilancia.